Microcosmo [desert]

Lasciato il deserto ci fermiamo a Zagora. Abbiamo bisogno di una connessione internet per prenotare una stanza per la notte e, dopo una ricerca troppo lunga per quelle che sono le dimensioni della città, ci fermiamo in un bar sulla strada centrale. Si chiama chez Abdel Krim e, anche se si rifiuta di accendere il forno e farci la pizza con 50°C, ha bibite Hawaii belle fresche, patatine fritte e un’ottima connessione grazie alla quale riusciamo a prenotare una stanza per la sera. Quando lasciamo il caffè, il responsabile del bar mi chiede di valutare il locale su TripAdvisor. Io però non riuscirò più a ritrovarlo, quindi pago qui il mio debito: se siete disposti a spiegare due o tre volte che volete acqua frizzante e non naturale, se non esigete la pizza a luglio e apprezzate la gentilezza e le buone intenzioni, il caffè Abdel Krim sulla strada centrale di Zagora è il posto che fa per voi. Sedetevi sotto il suo portico ad osservare l’umanità che passa per le strade di una cittadina alle porte del Sahara e navigate su internet alla velocità della luce.

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Dopo avere bevuto tre Hawaii da Abel Krim lasciamo Zagora e viaggiamo verso Ovest, lasciandoci alle spalle il deserto e dirigendoci verso l’oceano. Viaggiamo attraverso il deserto di sabbia. Viaggiamo attraverso il deserto di roccia. Siamo un po’ stanchi e ancora viaggiamo attraverso un deserto di montagna. Verso sera arriviamo vicini a Taroudant.

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La strada si inerpica su una collinetta e Checco smadonna dopo tre curve: “Guarda te dove ci mandano”. Più avanziamo, più è fitta la polvere che si alza dalla strada al nostro passaggio, più si stringe la strada, più aumentano i segni della povertà, più aumentano gli improperi di Checco. Google maps non sa guidarci fino all’ingresso del Riad, ma al secondo tentativo ci troviamo davanti ad un posto cinto da mura e custodito da una grande porta di legno – chiusa. Checco smadonna ancora di più.

Un inserviente ci ode e viene ad aprirci poco prima che rinunciamo e decidiamo di andarcene. E dentro è bellissimo. Mi accorgo dell’ansia e dell’arsura e della sete e delle crepe dei giorni passati solo mettendo piede dentro al castelletto che ci ospita e trovandovi alberi verdi e rigogliosi: limoni e mandarini, oleandri e bouganville, ulivi e cespugli di rosmarino grandi come mobili di casa.

Non abbiamo assistito ad episodi di plateale sessismo, ma se ci penso mi rendo conto di non avere visto, per giorni, una donna accompagnata da un uomo o viceversa: solo donne con donne e maschi con maschi. Qui, dentro queste mura, il gestore del posto è gay. La sera ordiniamo del vino. Mangiamo lì, sul bordo della piscina più bella in cui abbia mai nuotato, sicuri dentro alle mura di questo posto che nasconde un Marocco al contrario, tra i dolci effluvi delle piante laureate, e dei limoni.

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Microcosmo [desert]

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