Rientro al lavoro. Apro la casella di posta ricordando il momento in cui avevo ritoccato il mio messaggio di assenza prima di partire: “Thank you for your e-mail. I am out of office, with limited no access to my e-mail. …“. I messaggi in arrivo non sono neanche troppi. Sorrido, decisa a ricordarmi per i mesi a venire il momento in cui, schiacciata dal peso del mio barile, in Scozia avevo ripensato con nostalgia alla sedia del mio ufficio, dicendomi che a modo suo era un lusso.
Prima di iniziare a leggere tutti i messaggi che mi sono arrivati e a rispondere “as soon as I return” come promesso, controllo solo un attimo se sono usciti i risultati del concorso che ho fatto ad aprile. Ed eccolo lì, nel mio account, un messaggio non letto. Io non sono capace, di norma, di leggere velocemente, ma davanti a quel messaggio i miei occhi hanno mandato al cervello tantissime informazioni che ho processato prima ancora di riuscire a leggerle: come temevo sono insufficiente in matematica; come speravo ho fatto molto bene tutto il resto; come non immaginavo ho un ottimo punteggio totale. È ora che leggo il messaggio e che mi accorgo che il punteggio totale mi avrebbe permesso di passare alla seconda fase del concorso se solo, per la prima volta da quando tento questo esame, non fossi stata insufficiente in matematica. Mi scappa un “porca puttana!” che non fa nemmeno alzare gli occhi alla mia algida dirimpettaia.
La vita di tutti i giorni si è reimpossessata di me. Non piano piano, di giorno in giorno, fino a levigare via il ricordo dell’avventura scozzese, ma con uno schiaffone di traverso sulla guancia.
Ero stanca l’ultimo giorno, quando la spalla destra sembrava voler disertare piuttosto che affondare ancora una volta il remo; volevo davvero averlo, un bagno con la carta igienica sempre; sentivo i capelli sformati dal vento e dalla fascia costantemente in testa e davvero mi domandavo che aspetto avesse la mia faccia, dopo sei giorni di pioggia, punture, sole, e finalmente anche un po’ di vento. Volevo sentirla, la sensazione di lenzuola pulite sfregare sulla pelle pulita anch’essa.
Ma non mi sono dimenticata di gettare un ultimo sguardo alle mie spalle, remando via dall’isola bellissima che non mi piacerà mai. Non mi era mancato il cellulare con internet – e affondavo il remo – non mi era mancato l’asfalto – un’altra remata – non mi erano mancati i diecimila problemi artificiali della vita di tutti i giorni – un’altra remata ancora – non mi era mancata la luce al neon – un nuovo colpo – non mi erano mancati i rumori del traffico – e un’altra remata – non mi erano mancate le scadenze – affondavo il remo ancora – non mi era mancato lo stipendio e l’affitto e les cotisations sociales – e una remata, e un’altra e un’altra ancora…
Ci siamo caricati i barili sulle spalle un’ultima volta, abbiamo trascinato e ricalato le canoe in acqua per attraversare un ultimo lago coperto di ninfee. E dopo qualche metro eccola, tagliare la collina: la strada. Eravamo tornati.
Era finito il nostro viaggio e anche questo blog finisce qui. Grazie per averci accompagnati, per averci aiutati a fare la valigia, suggerito canzoni e locali e piccole astuzie per sopravvivere in campeggio.