La valigia più difficile

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Ho una regola d’oro quando faccio le valigie. Una regola che mi illudo potrebbe salvarmi la vita, che penso segni la linea di demarcazione tra viaggiatrice improvvisata ed esperta.

Credo che questa regola affondi le sue radici parecchio indietro negli anni, al periodo in cui facevo scherma. Ricordo un giorno in cui ero di ritorno da una gara: ero arrivata in via dello Sport, dove qualcuno, probabilmente mia mamma, era venuto a prendermi. Questa persona aveva accennato un gesto, come per aiutarmi a portare la sacca di scherma, e io gliela stavo felicemente cedendo, quando da dietro era risuonata la voce del mio allenatore: “Ognuno si porta la sua attrezzatura“. Sul momento mi ero risentita, ma poi, pensandoci, mi ero piano piano accorta che queste parole avevano molto senso. La mia attrezzatura era tutto quello che avevo con me in pedana, era dunque mia responsabilità occuparmene, tenerla con me, vicina.

Da allora mi sono sempre portata la mia sacca, di qualunque sacca si trattasse: quella di scherma, o quella ben più pesante da sub. E dalle sacche sono passata alle valigie: anche di quelle, ognuno si porta la sua.

Quindi, dicevo, la regola aurea, a tutela della mia libertà e della mia indipendenza: mai fare una valigia più pesante di quello che riesci a portare da sola.

Stiamo per partire e, dopo averlo chiuso in una barca a vela larga come le sue spalle, questa volta è Checco che gioca in casa e io che mi muovo in ambiente ostile: questa volta partiamo e attraversiamo l’Oceano per andare a sciare. Sono seduta sulla sacca della North Face per capire se sia possibile comprimere ulteriormente la salopette da snowboard e i pile. Mi ci sono seduta sopra talmente tante volte che ormai occupano lo spazio di un pacchetto di fazzoletti, ma la mia ambizione, facendo uscire ancora un po’ d’aria e pressando ancora di più il tessuto, sarebbe di ridurli alle dimensioni di un pacchetto di tic-tac. Di fronte a me, schierate sul letto come soldatini, le provviste per nutrirmi nei prossimi 12 giorni: frutta secca e omogeneizzati di frutta che devono ancora entrare in valigia.

Per mesi avevo pensato che questa sarebbe stata la mia valigia più difficile. Effettivamente se qualcuno mi avesse vista cinque minuti fa, con le maniche rimboccate e le braccia immerse nella sacca e spingere e pressare come una lavandara, avrebbe pensato lo stesso. Tuttavia non è così: la valigia più difficile mi aspetta al ritorno a Bruxelles ed è un’altra storia. Per ora posso sorridere e continuare a pressare e comprimere questa valigia gonfia, ma che con un po’ di impegno e di pressione nei punti giusti riuscirò a caricarmi in spalla e a portare da sola.

La valigia più difficile

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